Nell’ ultimo articolo dedicato al contratto abbiamo parlato dei casi di nullità, annullabilità e dell’inefficacia.
Andiamo ora a trattare la rescissione e la risoluzione del contratto.
La rescissione del contratto
Rescindere un contratto significa scioglierlo; la rescissione può essere chiesta in due casi:
Contratto concluso in stato di pericolo
Ai sensi dell’art. 1447 c.c. “il contratto con cui una parte ha assunto obbligazioni a condizioni inique per la necessità, nota alla controparte, di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, può essere rescisso su domanda della parte che si è obbligata”.
Azione generale di rescissione per lesione
In base all’art. 1448 c.c. “se vi è sproporzione tra la prestazione di una parte e quella dell’altra, e la sproporzione è dipesa dallo stato di bisogno di una parte, del quale l’altra ha approfittato per trarne vantaggio, la parte danneggiata può domandare la rescissione del contratto”.
In questo caso si richiede, per rescindere il contratto, una vera e propria lesione, ossia il fatto che la prestazione eseguita o promessa da una delle parti sia superiore al doppio della controprestazione.
Per evitare la rescissione del contratto c’è solo un mezzo: In base all’art. 1450 c.c. “il contraente contro il quale è domandata la rescissione può evitarla offrendo una modificazione del contratto sufficiente per ricondurlo ad equità”.
La rescissione del contratto non ha efficacia retroattiva.
La risoluzione del contratto
Nei contratti con prestazioni corrispettive, in caso di inadempimento di una delle parti, l’altra può scegliere se chiedere l’adempimento del contratto o la sua risoluzione (art. 1453 c.c.).
La parte diligente, se chiede l’adempimento del contratto, può ancora cambiare idea, e chiedere la risoluzione; viceversa se chiede la risoluzione del contratto non potrà più mutare il proprio atteggiamento chiedendo l’adempimento degli obblighi contrattuali assunti.
Tale norma si giustifica in quanto la parte che chiede la risoluzione, implicitamente dichiara di non aver più interesse all’osservanza del contratto e quindi l’altro contraente abbandonerà la ricerca della merce da fornire cosi che quest’ultimo potrebbe essere penalizzato oltremodo qualora dovesse successivamente far fronte ad una nuova richiesta d’adempimento, magari dopo che le condizioni del mercato siano mutate.
L’inadempimento, per giustificare la risoluzione del contratto, deve essere grave.
Infatti l’art. 1455 c.c. prevede che “il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza avuto riguardo all’interesse dell’altro”.
Per ottenere la risoluzione del contratto è necessario proporre una domanda giudiziale e quindi spetterà poi al giudice valutare la sussistenza e l’importanza dell’inadempimento.
Perciò, come è facilmente prevedibile, si richiederanno tempi lunghi per ottenere una decisione definitiva.
Tuttavia, anziché in via giudiziale, la risoluzione del contratto può attuarsi anche in via sostanziale in tre casi:
a) clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.)
b) diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.)
c) termine essenziale (art. 1457 c.c.)
La clausola risolutiva espressa
E’ quella clausola contrattuale con il quale le parti prevedono espressamente che il contratto dovrà considerarsi automaticamente risolto qualora una determinata obbligazione non venga adempiuta affatto o, comunque, non venga eseguita secondo le modalità pattuite.
In ogni modo quando in un contratto è stata inserita una clausola risolutiva espressa, la risoluzione non è l’immediata conseguenza dell’inadempimento di quell’obbligo: essa si verifica automaticamente soltanto quando la parte diligente, che come sappiamo ha diritto di scegliere tra l’adempimento del contratto e la sua risoluzione, comunichi all’altra parte che intende avvalersi della clausola risolutiva e, quindi, risolvere il contratto.
Diffida ad adempiere
Se nel contratto non è stata non è stata inserita una clausola risolutiva espressa, la parte non inadempiente può tuttavia ottenere la risoluzione di diritto mediante una diffida ad adempiere,ossia mediante una dichiarazione scritta con la quale intima all’altro contraente di adempiere la sua prestazione entro un termine congruo, che di regola non può essere inferiore a 15 giorni, avvisandola che, in difetto, il contratto si intenderà senz’altro risolto.
Termine essenziale
In un ultimo caso il contratto potrà risolversi automaticamente: qualora sia decorso invano il termine essenziale per il suo adempimento; il termine per l’adempimento di una determinata prestazione si considera essenziale quando la prestazione stessa diventa inutile per il creditore qualora non venga eseguita entro il termine stabilito.
In questo caso l’inadempimento comporta la risoluzione automatica del contratto, senza bisogno di alcuna dichiarazione della parte diligente.
Effetti della risoluzione
La risoluzione ha efficacia retroattiva tra le parti: questo vuol dire che non solo il contratto non produce più gli effetti per l’avvenire, ma anche le prestazioni già eseguite devono essere restituite poiché è venuta a mancare la causa che giustificava lo scambio.
Ai sensi dell’art. 1458 c.c. la risoluzione non pregiudica i diritti acquisiti dai terzi purchè essi abbiano trascritto il proprio atto di acquisto anteriormente alla trascrizione della domanda di risoluzione (perciò la risoluzione ha efficacia retroattiva tra le parti, e non nei confronti dei terzi).
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